Come si è evoluto nel tempo il rapporto con i suoi allievi sul dojo (palestra)?
Sin dagli inizi del mio insegnamento, il rapporto con gli allievi si è sempre basato, e si basa ancora oggi, sul rispetto, soprattutto sul tatami. Ciò che mi disturba è il fatto che molti miei allievi siano andati via dopo numerosi anni di allenamento ed abbiano aperto dei corsi senza comunicarmelo, utilizzando il nome di Kung Fu di Okinawa, ma insegnando altri stili. Anche se premetto che rispetto ogni tipo di arte marziale e apprezzo le loro diversità. Sono contrario, invece, all’omologazione tecnica dei praticanti. Questo avviene spesso quando l’arte marziale diventa sport. Ciò comporta una riduzione del numero delle tecniche, che devono essere eseguite tutte nello stesso modo. Secondo me, invece, ogni individuo esprime e deve esprimere in modo diverso la propria arte, attraverso corpo, spirito e mente. Un altro punto importante riguarda l’egocentrismo che rischia di svilupparsi nei praticanti. È capitato anche a me, ma è una condizione che va superata. Bisogna ricordarsi di essere sempre umili non solo nel dojo, ma anche nella vita.
Nel primo volume del suo libro è scritto che lei ha partecipato a degli stage di Karate ad Okinawa, ci può raccontare dei dettagli al riguardo e se è rimasto in contatto con dei maestri o allievi?
Nel ’67 sono andato per sei settimane con il Grand Master Thomas ad Okinawa per imparare il Karate. Le lezioni duravano 6 ore al giorno per sei giorni a settimana. Partecipavano persone provenienti da molte parti del mondo. Ebbi questa grande opportunità perché ero uno dei migliori allievi di Thomas. Questo stage era durissimo, inizialmente risultavano 250 ragazzi iscritti e alla fine eravamo rimasti solo in 28. Ricordo che ogni giorno, alla fine della lezione, mi facevano male tutti i muscoli, ogni singola fibra e solo dopo un mese circa riuscii ad abituarmi. Alla fine ero diventato prima di tutto forte mentalmente e poi fisicamente.
Ci sono altre palestre che insegnano questo stile nel mondo?
Sicuramente insegnano o hanno insegnato alcuni tra gli allievi più forti del Grand Master Thomas. D. N. ha fondato una palestra in Australia, mio fratello L. A. insegna in Inghilterra e il maestro E. D. in California
Quali sono le sue aspettative per il futuro di questa arte marziale?
Oggi ho all’incirca una ventina di ragazzi di cui mi fido e che spero portino avanti il lavoro che ho cominciato qui in Italia, quaranta anni fa. Purtroppo alcuni hanno lasciato il corso dopo tanti anni e non si sono più fatti vedere. Questo avviene perché molti credono che dopo cinque o sei anni di pratica, una volta ottenuta la cintura nera, il percorso sia completato. Per me questo è quasi un insulto, perché è molto importante, soprattutto per le cinture di alto livello, capire che questa è una via che una volta intrapresa non deve essere abbandonata e deve diventare uno stile di vita
A chi sono rivolti gli stage che organizza, e in cosa consistono?
Gli stage che organizzo sono rivolti a tutti i praticanti di arti marziali e soprattutto a quelli di Kung Fu di Okinawa. Questi incontri consistono in una esposizione di nuove tecniche di autodifesa, ma soprattutto in un allenamento collettivo, durante il quale tutti i partecipanti devono interagire ed essere uniti come una famiglia!
Può citare alcuni suoi allievi che oggi sono diventati dei maestri famosi?
Allora, Pietro Valenti è stato uno dei miei primi allievi. Oggi è cintura nera 7° dan di questa arte marziale e 6° di Kendo, a seguire troviamo Ettore Falzone 7° dan, Marcello Orecchia 6° dan, Vincenzo Carlini 5° dan, Antonio Canzoneri 5° dan, Stefano Viscillo 5° dan, Alberto Zachi 4° dan, Paolo Santilli 3° dan, solo per citarne alcuni. Poi ci sono i maestri che, dopo essere stati miei allievi, hanno fondato o praticato stili differenti come ad esempio Massimo e Paolo Liberati, pionieri della Kick boxing insieme a Mario Carella (4° dan di Kung Fu di Okinawa) e Massimo Fiore, fondatore dello Street fighting sistem, e molti altri
Qual è il modello di educazione che lei utilizza sul dojo?
La prima regola è la disciplina. Questa è una caratteristica del mio metodo di insegnamento che mi è stata tramandata da Thomas. Deve esserci rispetto reciproco tra maestro e praticante, ma deve essere quest’ultimo a dimostrarlo per primo. Per me gli allievi sono come dei figli, eppure sempre più spesso molti di loro abbandonano il corso probabilmente per la rigidità del mio insegnamento
In quale città nasce questa arte marziale e chi fu il fondatore?
Il Kung Fu di Okinawa fu fondato nella città di Naha dal Maestro Ky Tomotashi nel 1922
Il Kung Fu di Okinawa è stato influenzato più dal taoismo o dallo zen?
Sicuramente il Maestro Thomas praticava il mental training tramite lo zen, ma non in senso religioso, piuttosto come metodo di focalizzazione. È preferibile che all’inizio non venga praticato lo zen come meditazione, perchè non viene compreso il suo senso. Invece, dopo dieci o quindici anni, siamo abbastanza forti mentalmente da poter raggiungere la concentrazione necessaria per meditare proficuamente
Il Kung Fu di Okinawa, è influenzato più dal Kung Fu cinese o al Karate giapponese?
Da entrambi in egual misura, ricordiamo che sono solo dei nomi per indicare l’arte marziale. Il nostro stile deriva dal Kenpo cinese praticato a Naha e, come veniva chiamato allora, dal Karate- Kung Fu di Okinawa o Okinawa-Te. Cinquanta anni fa, quando si parlava di Kung Fu e di Karate, si faceva riferimento alla medesima arte marziale. Mi sono diplomato alla Judan Kung Fu Karate Institute, dunquepratico il Kung Fu Karate. Quando, però, dovetti aprire una palestra in Italia, pensai che questo nome non fosse appropriato, allora chiamai lo stile Kung Fu di Okinawa (Okinawan Kung Fu Academy)
Il Karate di Okinawa non prevede capriole, calci volanti, cadute e mosse di jujitsu, che, invece, sono presenti nel Kung Fu di Okinawa. Queste tecniche derivano dal Kenpo cinese, stile velocissimo, dai movimenti sciolti, che insegna leve e bloccaggi. È molto importante godere dell’influenza di questi due stili opposti. Rappresentiamo un’arte marziale rustica ma efficace, che prevede molto contatto e niente protezioni
Ci può raccontare qualcosa in più riguardo il fondatore dello stile, Ky Tomotashi?
Ricordo che era venerato come un dio. Si sedeva e ci osservava durante gli allenamenti. All’epoca aveva 75 anni circa. Era un uomo molto schivo, ma carismatico. Ogni tanto lo vedevo eseguire le tecniche, sempre con un’aria di superiorità
Cosa le ha insegnato questa arte marziale in tutti questi anni?
Ha avuto un ruolo fondamentale nella mia vita ed il praticarla mi ha sostenuto nelle situazioni difficili. L’arte marziale mi ha insegnato la disciplina e mi ha reso forte mentalmente. Il prossimo mese compio 67 anni, ma mi sembra di averne 40 dal punto di vista energetico e, per quanto riguarda l’esperienza, me ne sento 200! Questa è l’arte marziale! Da quando ho cominciato a praticare, sono cambiato spiritualmente ed ho iniziato ad osservare la vita da un’altra prospettiva. Tutti i grandi maestri del passato possono essere definiti tali proprio per il loro spirito: bastava solo il loro sguardo per fare in modo che l’avversario desistesse e rifiutasse lo scontro. La maggior parte di loro erano piccoli di statura ma con un grande forza interiore. Per arrivare a questi livelli bisogna, però, cominciare a praticare le arti marziali da giovani e continuare per tutta la vita
Come era impostato il metodo di insegnamento della Judan Kung Fu-Karate Academy?
Era rigidissimo e molto impegnativo sia a livello mentale che fisico. Thomas mostrava gli esercizi e gli allievi li eseguivano. Inoltre, allenava personalmente e duramente solo le cinture marroni e nere. Voleva prepararci a combattere contro ogni difficoltà ed in ogni situazione
Cosa può dirci riguardo al Kung Fu di Okinawa e il suo rapporto con lo sport?
Molti miei allievi sono diventati campioni di kick boxing e full contact perché il Kung Fu di Okinawa garantisce un’impostazione molto simile a quella necessaria per praticare queste due discipline. Comunque i combattimenti sportivi comportano delle regole che limitano il praticante di arti marziali, rendendolo privo di un metodo personale. Bisogna colpire con determinate tecniche, ad una certa velocità, in tempi ben definiti. Credo anche che il vincere gare ed ottenere riconoscimenti sia superfluo per la formazione di un artista marziale
Cosa differenzia il suo attuale tipo di insegnamento da quello praticato da Thomas?
Con il tempo sicuramente tutti cambiamo, mentalmente, fisicamente e spiritualmente e questo avviene soprattutto per un artista marziale. Dopo diversi anni mi sono reso conto che il mio modo di insegnare quest’arte e di praticarla era mutato ed assomigliava solo per il 40{fd51b8c36b08b9307900a7697d73cef7efa0abaf00011bc59816ded5cedc736b} al metodo usato da Thomas. Per questo dico, per esperienza, che uno stile definito non esiste, ma si evolve insieme al praticante
Qual è l’importanza che riveste il fatto che l’arte marziale resti fedele alla tradizione e non si faccia influenzare dalle degenerazioni dello sport?
Innanzitutto è importante per la persona, per il suo lato interiore. L’arte marziale ti rimane dentro insieme ai suoi insegnamenti. Il praticante di arti marziali sa chi è veramente, e non ha nulla da dimostrare a nessuno. Dunque, preservare la propria arte è il miglior modo per crescere